E’ancora presto – mi dico – per parlarne. Eppure qualche cosa sarò in grado di dire dopo 48 ore che son qui…finalmente arrivati in Angola, Luanda, un brivido corre giù lungo la schiena quando realizzo che ad ogni gradino che scendo sulla scaletta dell’aereo la distanza dall’africa si misura in metri, non più in mesi, giorni, ore…nemmeno il tempo di tirare il fiato nel caldo e nell’umido clima inquinato e molesto dell’aeroporto che l’assurdità della burocrazia angolana si fa palese da subito. Ci sono controlli dei controlli e controllori dei controllati che a loro volta controllano. Nel caso ci fosse bisogno di controllare un controllo – si capisce.
Io da subito, fin da quando aspettavamo l’aereo a Lisbona, lo stesso di cui ci hanno detto alle 11 di sera “per problemi tecnici al motore l’aereo partirà in ritardo”, lo stesso che ci ha portato sani e salvi fino a qui con 7 ore di volo, dicevo, fin da subito mi sono resa conto di far parte dei BRANCHI (bianchi detto in senso dispregiativo) CIUCCIATORI. Tutti quelli che vengono qui dall’Europa vengono per ciucciare, linfa vitale del paese, petrolio e diamanti, facendo schizzare il pil alle stelle, facendo si che la vita cosi un occhio della testa (un nostro stipendio medio qui non basta per vivere, un kg di pomodori costa 7 euro…) e che sostanzialmente le montagne di immondizia e i liquami a cielo aperto siano alleviate dalla dignità infame dello squillare dei cellulari e dallo strisciare delle carte di credito. Tanto i bambini continuano a non permettersi di essere bambini. La povertà è una piaga che mi brucia, ovunque. Arriviamo in ospedale, percorrendo una delle grandi arterie asfaltate della città, che sono poche e circondate da un interminabile film pasoliniano, e mi faccio un idea di dove si trova l’ospedale dove andremo a lavorare…nel bel mezzo di Kilamba Kiaxi, un bairro di baracche, senza fine. Luanda ospita 7 milioni di persone. Io sento che sarà mia, ma non oggi. Oggi dobbiamo andare nel nostro rifugio e poi ripartire da lì, con più calma, nei prossimi giorni.
Giulia do cieu è la prima che abbracciamo, fa parte degli specializzandi che stanno qui da mesi, sono delle stelle nel mio cielo. È lei che ci fa fare il primo giro dell’ospedale, che ci spiega un po’ di cose che poi si sommeranno a cose ancora cose e cose, che io cerco di assorbire da spugna, sempre e comunque. Marasma, Kwashorkor, edemi da fame, vermi, amebe, osteomieliti, polmoniti, hiv, tb...ogni tanto mi devo ricordare che devo avere il coraggio di guardarli negli occhi… alcuni mi fanno male dentro a fondo. siamo in piena, impara impara impara, scrivi, memorizza, fai. Ogni bambino è una storia infinita, è dettagli di ferite, stracci di sorrisi, occhioni spalancati e paura. Si tratta di diventare autosufficienti, io e il mio collega in viaggio, perché fra 10 giorni se ne va la maggior parte degli specializzandi, e noi dobbiamo affrontare le diarree, che fanno precipitare lo stato delle malnutrizioni, salire alle stelle le morti. Scrivere cartelle, prescrivere farmaci, capire, fare, migliorare, umanizzare un ambiente che necessariamente spesso dimentica la dolcezza in favore della presunta efficienza, della quantità . Qui si lavora, qui io so chi sono. Colori ovunque e rumori e voci e musica per le mie orecchie. Dell’africa fuori dalle mura del hospital divina providencia scriverò nel week end, usciremo per la prima volta, con calma. Sono previsti viaggi, non anticipo nulla. La capoeira è assicurata da Ivan, italiano che viva qua da anni e conosce i ragazzi della capoeira del bairro, la baraccopoli, sono stupendi e ci accolgono con pazienza, ci insegnano, dal bimbo di 6 anni a gente della nostra età.
L’infermiere che siede padrone sulla scrivania all’ingresso del reparto si chiama Destino…altro nao vou a falar, entende che tuda a joia sta nel ver olhos da crianca mais meravilhosa che tem vida, entro. Mango e maracuja mi piacciono molto, i miei zoccoli da doctora sono sporchi di tutto, soprattutto terra, le mie mani fanno il lavoro più bello do tudo mundo.
mercoledì 30 settembre 2009
mercoledì 9 settembre 2009
cOn un PoCo dI ZucCheRo lA PilLoLa va Giù...
anche la Farmacologia II è alle spalle ormai, e mi sento più leggera di Mary Poppins, pronta a decollare con il mio verde ombrello antibora!
A conclusione di quest’estate di studio matto e disperato un lauto e ricercato pranzetto al Posto delle Fragole, il locale utopico, che si trova dentro l’ex OPP di S.Giovanni.
Solo respirare lì, quell’aria di acquisita libertà, naturalmente rivoluzionaria, potrebbe servire a spiegare a chi non lo conoscesse, il tipo di legame presente tra Trieste e questo posto. Come direbbe Covacich riferendosi proprio all’ Apertura dell’OPP “il manicomio entra in città e la città entra in manicomio”, basta muri via le grate dalle finestre giù i cancelli. Forse la più nitida delle emozioni triestine dilaga fuori da questo stupendo parco e invade chi le è permeabile: siamo tutti ugualmente stranieri, ospiti in terra di passaggio che non ci appartiene, siamo parte di una comunità, pazza quanto/quando normale. Simmetrie…
Sognare Partire e forse dormire…come sempre l’ultima la escluderei, purtroppo. Ora basta recuperare il visto+passaporto, racimolare sapientemente ciò con cui desidero riempire il mio zaino, e poi decollare. A dire la verità ci sarà un Preludio a tutto ciò, composto da: qualche giorno a Casa per raccogliere le idee, un corso teorico-pratico full-immersion per capire di più riguardo la realtà socio-sanitaria in cui andrò ad immergermi nel prossimo futuro e 3 giorni con Colui che è (a 2261m sul livello del mare ancora oggi, a lavorare) tra la Valpolicella e Gardone Riviera, tra vigne e antiche case in pietra, dimore di poeti e la romantica Sirmione, a riempire gli occhi di colori ed espressioni che mi piacerà ricordare.
Evviva Ale e Marco che aspettano chi arriverà puntuale (c’era da aspettarselo..) per festeggiare il 25 aprile!
Evviva chi sadicamente scrive prosimetri e chi cerca di indovinarne il titolo invano!
A conclusione di quest’estate di studio matto e disperato un lauto e ricercato pranzetto al Posto delle Fragole, il locale utopico, che si trova dentro l’ex OPP di S.Giovanni.
Solo respirare lì, quell’aria di acquisita libertà, naturalmente rivoluzionaria, potrebbe servire a spiegare a chi non lo conoscesse, il tipo di legame presente tra Trieste e questo posto. Come direbbe Covacich riferendosi proprio all’ Apertura dell’OPP “il manicomio entra in città e la città entra in manicomio”, basta muri via le grate dalle finestre giù i cancelli. Forse la più nitida delle emozioni triestine dilaga fuori da questo stupendo parco e invade chi le è permeabile: siamo tutti ugualmente stranieri, ospiti in terra di passaggio che non ci appartiene, siamo parte di una comunità, pazza quanto/quando normale. Simmetrie…
Sognare Partire e forse dormire…come sempre l’ultima la escluderei, purtroppo. Ora basta recuperare il visto+passaporto, racimolare sapientemente ciò con cui desidero riempire il mio zaino, e poi decollare. A dire la verità ci sarà un Preludio a tutto ciò, composto da: qualche giorno a Casa per raccogliere le idee, un corso teorico-pratico full-immersion per capire di più riguardo la realtà socio-sanitaria in cui andrò ad immergermi nel prossimo futuro e 3 giorni con Colui che è (a 2261m sul livello del mare ancora oggi, a lavorare) tra la Valpolicella e Gardone Riviera, tra vigne e antiche case in pietra, dimore di poeti e la romantica Sirmione, a riempire gli occhi di colori ed espressioni che mi piacerà ricordare.
Evviva Ale e Marco che aspettano chi arriverà puntuale (c’era da aspettarselo..) per festeggiare il 25 aprile!
Evviva chi sadicamente scrive prosimetri e chi cerca di indovinarne il titolo invano!
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