lunedì 12 ottobre 2009

BeLEzA!!!

Questa Angola mi occupa totalmente, al punto di non percepire più distanze reali e vivere delle emozioni che creano distanze molto più irrazionali. Angola è stata, ebbene si, faccio uno sforzo a scrivere ora, dopo una settimana ricca di eventi e di forti emozioni. Da lunedì sono pienamente partecipe di tutte le mie mansioni, riesco a visitare i bambini, sia nel reparto malnutriti di cui ci occupiamo prevalentemente, sia per la consulta esterna, ma qui sempre sotto la supervisione di chi la clinica la sa. In ogni caso, la cosa più stravolgente, è che ho cominciato a visitare, a chiedere, a riconoscermi in un ruolo, a parlare con le mamme (il portoghese va da dio, è lamia lingua…che ne so perché!?). Posso essere utile con le mie conoscenze e con un bel po’ di applicazione, e se posso mi applico eccome.
Ci si aspetterebbe una lunga spiegazione su quello che faccio o quello che vedo, beh…mi dispiace deludere la platea eventualmente interessata, ma la mia filosofia è questa: sebbene io stia imparando a visitare, a guardare raggi di polmoni di tutti i tipi, a leggere esami urine, a raccogliere sintomi respiratori per fare una diagnosi, a prescrivere le analisi con parsimonia (quelle poche che si fanno) in base a precisi sospetti, a valutare lo stato del bambino malnutrito e a “fare l’occhio” per certe malattie infantili comuni come anche quelle che da noi non ci sono da 50 anni…beh, nonostante tutto questo sia un’enorme conquista, la chiave di volta non sta qui, ma sta nell’africa, in tutto il suo travolgente bene in tutto il suo enorme male. Nel giro di due settimane ho fatto un po’ di scorza è vero, ma non ho perso la tenerezza, e sebbene siano ancora molte le cose che mi fanno riflettere, sono felice di lavorare in questo contesto. (nonostante la voglia 3 volte al giorno di scappare, incazzature, pianti).
Non sono le mosche negli occhi e non sono gli edemi da fame, non sono nemmeno le ferite infette o l’assenza della terapia del dolore, non è l’ossigeno (nelle bombole) che manca in reparto e nemmeno l’idea che in 5 giorni muoiano 4 bambini…a farmi restare a bocca aperta, con gli occhi fissi e il respiro sospeso. Ciò che mi lascia a riflettere è il diverso peso che si da alla vita. L’africa (concetto inesistente, sarebbe meglio dire l’Angola) ti mostra vita piena, messe cantate, vestiti e voci mosse da gran forza, ragazzi del bairro che leggono shakespeare e conoscono meglio di me la geografia dell’Italia, la capoeira come gioco di esistenza, il mercato dove vendere è il paradigma della vendita, i bambini che giocano a calcio in riva all’oceano, il sole e la voglia di stare assieme, l’Accoglienza (io ho capito cosa vuol dire ora, da oggi a casa mia applicherò questa forma africana di accoglienza) , il calore degli occhi, gli occhi desiderosi di tempo di tutti quelli che il tempo l’hanno terminato. E poi ti mostra scovazze ovunque ma montagne, montagne di immondizia, sporco, traffico, ragazze usate e gente insanguinata per strada nelle risse, traffico e smog, ricchezza ostentata e povertà da 1 euro al giorno, quella vera, non quella dei telegiornali, quella che vedi negli occhi da cui non puoi distogliere lo sguardo, quella che dovrebbe farci paura, a noi cazzoni. e poi penso alla farmacologia e a tutti i morti in piedi che vedi girare in occidente, al benessere e al rischio che fa correre, che è tutto sommato sovrapponibile ad una malattia molto peggiore, che ti fa vivere di vita presunta, aumentando il peso del tabù della morte, cercando di sfuggire la maturazione di sentimenti complessi in vita.
Il lavoro in ospedale va bene. Domani lunedì si comincia a darci dentro.
E poi è africa signori miei, è essere invitati da uno dei ragazzi della capoeira nella sua casa nel bairro e con gli altri 4 amici andare a sperimentare l’accoglienza, la dignità, l’infinita dolcezza, il sapore di una serata passata nel posto giusto, i rumori del bairro, le baracche, i cani, la gente al buio, la mancanza di elettricità, la jeep che scorre tra le baracche, i nostri vestiti semplici e pieni di persone felici, la musica, la totale sensazione di essere vicini, condividere birra e funji, abitare sotto l’eternit, vivere pienamente e puliti. L’infinita distesa di baracche. Infinita.
Poi lavoro e poi il week end…si fugge al mare, un po’ per salutare Elisa (stupenda) e Ale (anche lui) che partono domani, un po’ per AFRICARE un po’…eh si,come dicevo da dentro le mura dell’ospedale non si sente molto l’africa, o meglio se ne sente e se ne tocca solo una delle parti peggiori, quella delle malattie e delle situazioni disperate che oltre a tutto il resto ti danno la misura di quanto conti la fortuna nella vita…sei nato qui? Ecco l’infinita lista delle cose che non potrai mai permetterti: al primo posto la salute, se non ce la fai da solo…allora abbiamo preso la jeep con Ivan e Isa e siamo partiti alla volta di Caboledo, meraviglioso lido sull’oceano, in un parco naturale appena fuori Luanda. C’è da dire che per uscire dalla città ci si mette dall’una alle 4 ore, come noi oggi per l’appunto. Caboledo è il respiro dell’oceano che non mi ha fatto dormire la notte, è mangiare il pesce appena pescato a pochi soldi, è dormire sulla sabbia bianca, è vivere in mezzo ai baobab, è natura selvaggia, è un branco di delfini salterini a cento metri dalla riva, è bambini e mamme che svuotano le reti da pesca, è capanne di bamboo e bungalow. Un piccolo gruppo di casette in mattoni e eternit, con h2o e luce variabili, ci hanno ospitato per queste due notti. Un sogno. L’oceano in tutta la sua potenza, con il suo lamento con il suo urlo, acqua che separa, acqua che unisce…forse dovrei imparare dall’acqua a non temere il cambiamento di materia, ma pensare solo al mantenimento della sostanza (chi vuole intendere in tenda gli altri in camper).
Altri dettagli preferisco rimandarli a voce, che mi si possa capire, che le mie idee non assumano valore che non hanno e vice versa. Comunque africa forte, difficile dire dove, un po’ dappertutto ma soprattutto nel sistema limbico, nel cuore e nello stomaco. Odori e ricordi, forti emozioni, palpitazioni e orrore accompagnano spesso il lavoro in reparto, allo stesso modo aromi e gioia esaltante, palpitazioni e coraggio ti circondano dal mondo fuori.
Ho preso al mercato la tela per farmi il vestito che metterò a Natale.
A coronamento di tutte le nuove direttive cerebrali date dal parallelo a cui mi trovo il film fight club. L’abbiamo visto 2 sere fa. Esattamente questo: tutto ciò che possiedi ti lega e ti incatena. è bello abbandonarsi al Mondo e al suo girar, imparandone il moto per apprezzarlo, dandoti sinceramente per amarlo, così como aparece. Beleza!